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Riscrivere la cultura con sguardo di genere

Scrive Sergia Adamo su Letterate Magazine del 30.07.2019 

È con questo spirito che la casa editrice Vita Activa ha inaugurato di recente la nuova collana di saggistica “Exempla”, diretta da Silva Bon. Non si tratta dell’ennesima nuova comparsa sul mercato editoriale. Non solo perché Vita Activa è un esperimento originale, interessante e importante: un progetto di editoria femminile indipendente che fa capo alla Casa internazionale delle donne di Trieste, ed è frutto di un lavoro comune, di un impegno strenuo e di condivisione di entusiasmo e fiducia nel lavoro intellettuale. La nuova collana e i primi due saggi che comprende rappresentano davvero un contributo significativo per l’intento che evidentemente si prefiggono: quello di scandagliare terreni, dimensioni, episodi poco noti della storia e della memoria culturale, in cui il ruolo delle donne e delle loro esperienze si dimostra cruciale ed emblematico. L’attenzione per ora è concentrata su un contesto di sempre problematica definizione, quale quello di Trieste, tanto celebrato come spazio di multiculturalismo ideale quanto mai abbastanza studiato nelle violenze, contrapposizioni e conflitti che lo segnano in profondità.

Il primo volume, “Trieste: una frontiera letteraria”curato da Katia Pizzi, rappresenta l’approfondimento da parte della curatrice di un percorso di studi iniziato già con un libro del 2001 intitolato A City in Search of an Author, impegnato in una rilettura dell’identità letteraria triestina, in cui gran parte aveva la considerazione del femminile. Questa volta Katia Pizzi propone invece un’antologia introdotta da una sua presentazione e da una interessante cronologia. La prospettiva adottata è apertamente quella di una rilettura, di una ridefinizione: lo ammette Pizzi in una avvertenza preliminare, lo rivelano più che mai la scelta del testi antologizzati e l’interessante cronologia che apre il volume (e le cronologie, si sa, sono strumenti solo apparentemente oggettivi e neutrali, in realtà incorniciano e inquadrano, rileggono la storia e la rinnovano).
L’ambito temporale preso in considerazione (un secolo: 1910-2010) cerca di riconnettere un passato che fatica a uscire ormai dallo stereotipo con un presente che di quel passato continua immancabilmente a nutrirsi, istituendo linee privilegiate di analisi che mettono in primo piano la relazione tra la cultura italiana e quella slovena e le contraddizioni insite in un problematico bisogno di memoria e “ricordo”. Queste linee riemergono nei testi scelti, a partire da Scipio Slataper che racconta le rivendicazioni di italianità legate alle richieste di istituzione dell’Università, e da Joyce e Svevo di cui vengono colti momenti particolarmente destabilizzanti nella descrizione di questa identità, passando per Srečko Kosovel  e France Bevk. Il canone che identifica il secondo Novecento allinea Vegliani, Pahor, Marin, Tomizza, Rumiz, Longo, Magris, nomi d’obbligo, ma presta anche la dovuta attenzione a voci poetiche forse meno note al grande pubblico come Roberto Dedenaro e Gabriella Musetti. La stessa Musetti, con Marisa Madieri e Nelida Milani e con la scrittura brillante e straniante allo stesso tempo di Laila Wadia rappresenta nell’antologia la dimensione della scrittura femminile. La femminilità in senso più ampio però non resta limitata ai passi antologizzati, ma viene ricercata nella presentazione in diversi autori quali Tomizza, Quarantotti Gambini, Marin, a ribadire la linea di analisi che Pizzi aveva inaugurato con il libro precedente...continua