SUL LIMITARE DI TANTE COSE di Roberto Dedenaro -"Tweet dell’anima"
Con questo Tweet dell’anima Ace Mermolja ci ha fatto uno bello scherzo, noi lo pensavamo immerso nelle sue soitudini carsiche, fra ex lande e crollanti muretti a secco, con quel suo avanzare, un po’ da plantigrado, apparentemente lontanissimo da sfavillii tecnologici, quando rieccotelo qua con un libro di cui molto si può dire, meno che sia un appartarsi. Perché il libro in questione, nella versione da me posseduta con una copertina azzurra che fa molto Mediterraneo, è tutto ma non un ripiegarsi su di sé, piuttosto un porre il proprio io come cartina di tornasole dell’universo mondo, e di più il buon Ace in qualche modo, non me ne voglia, sembra incarnare qualche spirito donchiscottesco, caricando di valore, anche in negativo, ma valore, la pagina scritta.
Il tema principale di questo twittare, insomma, mi pare di aver capito, sia quanto la poesia abbia degli strumenti per parlare della realtà, storica, politica, sociale, per fare dei lettori piccoli Sancho pronti a seguire il cavaliere autore nelle sue imprese. Naturalmente su cosa sia la letteratura e la scrittura, quale il loro rapporto con la realtà, se esista una letteratura impegnata e ce ne sia una disimpegnata, fa parte di un dibattito eterno e ricorrente, e non vogliamo certo riaprirlo qui, anche perché, forse non ne avremmo tutte le capacità necessarie. Ma questo libro, potremmo dire così, vuole parlare di quale posizione debba assumere l’io del narratore davanti alle immagini della televisione, alla realtà del mondo esteriore che entra dalla porta e non se ne vuole più andare. La forma di questo piccolo corpo a corpo fra io e reale è quella del poemetto, della poesia quasi narrativa, forma che si fa sostanza, a partire dalla traduzione di Darja Betocchi, splendida, di grandissima maturità espressiva che rifà, di fatto, il testo rendendo sfumature e artifici e metrica, in una parola un capolavoro da studiare come esempio nei corsi di traduzione letteraria. Betocchi che firma anche l’introduzione alla raccolta, edita da una collaborazione fra lacasa editrice Vita Activa e la ZZT.
Il suo intervento è titolato: Ace Mermolja poeta del margine, un titolo che forse depista, in qualche senso il lettore, non siamo, infatti, in quell’ambito che forse a torto, è stato più volte indicato come letteratura di frontiera, ma piuttosto in una poesia che corre sul limite, di tante cose, la realtà e la letteratura, le proprie idee e i propri comportamenti, la lirica e la narrazione, l’essere poeta e cittadino, uno scandaglio insomma per la modernità che Ace cerca di afferrare per qualche appiglio, ma la materia risulta scivolosa, come nella complessa, ampia, composizione finale, Fumando una sigaretta con Ezra Pound. Complessa già a partire dal personaggio scelto come interlocutore, Pound, che è una figura simbolo della modernità poetica del ‘900, ma figura limite, simbolo della contraddittorietà della poesia, che è, comunque, una forma di astrazione dalla realtà, un giocare sul suo limite. Sentiamo qui lo stesso Ace: Eppure basta solo veleggiare lungo Arbe / O l’Isola Calva, o incrocia- re spoglie di migranti sui lidi di lesbo. Ma il poeta vede/ solo il salto dei delfini, perché è atroce tra ossa e alghe / cercar poesia...continua qui
Il Piccolo del 17.09.19 La favola di Paolo Fresu
diventa un libro per bambini

Su "Ponterosso" Walter Chiereghin scrive di Donne incontrate nei romenzi
DONNE INCONTRATE NEI ROMANZI
di Walter Chiereghin
Parliamo con Laura Ricci del suo più recente volume, che stavolta è un libro di saggistica, Sempre altrove fuggendo. Pro- tagoniste di frontiera in Claudio Magris, Orhan Pamuk, Melania G. Mazzucco, pubblicato poche settimane fa dalla casa editrice Vita Activa di Trieste, creata e ge- stita da sole donne. In esso l’autrice - che, non posso tacerlo, è per me anche una cara amica, nonché apprezzata collabora- trice del Ponte rosso - compie un’analisi concernente i personaggi femminili (lei le chiama “personagge”, ma su questo mi piacerebbe – ben sapendo che non mi ri- sulterà facile – sorvolare) nelle opere dei tre autori indicati nel sottotitolo: rispetti- vamente Non luogo a procedere, Il museo dell’Innocenza, La stranezza che ho nella testa, e Lei così amata...
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Una recensione di Elizabeth Gaskell di Lady Ludlow su Leggere Donna
Lady Ludlow è considerato uno degli scritti minori da Elizabeth Gaskell, ma ciononostante fin dalle prime pagine colpisce favorevolmente gli amanti del romanzo inglese per lo stile piano e scorrevole, la garbata ironia e la dovizia di particolari che arricchiscono le descrizioni di un ambiente e di un’epoca lontani ma familiari ai lettori di Austen, Dickens, Brontë.
La Gaskell non ha certo la potenza espressiva degli autori che ho appena citato, ma è comunque una scrittrice interessante, meno nota in Italia, ma meritevole di una migliore conoscenza. Anche la sua vita, ricca di avvenimenti, viaggi e incontri ri- chiede più di un cenno di spiegazione.
Nata a Londra nel 1810, figlia di un pastore del culto unitario, perse la madre quando era molto piccola e fu allevata dagli zii. I numerosi precoci lutti familiari, d’altronde purtroppo molto comuni all’epoca, furono però compensati da un matrimonio felice, con uomo anche lui appartenente al clero ma aperto e tollerante, che la rispettò e stimò per tutta la vita incoraggiandola nella sua attività di scrittrice, cosa questa assai rara ai tempi.
Il suo primo romanzo Mary Burton apparve nel 1848 e ne decretò subito il successo, attirando anche l’attenzione di Dickens e di Charlotte Brontë, con cui Elizabeth iniziò una affettuosa amicizia, culminata con la stesura di una bellissima biografia alla morte dell’amica.
Il successo e le discrete disponibilità economiche le permisero insieme al marito di mantenere contatti con le personalità culturali più in vista, dandole anche la possibilità di affrontare numerosi viaggi in Europa che allargarono ulteriormente i suoi orizzonti.
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"Il Piccolo" Giulia Basso recensisce "I sogni di Anna"
"I sogni di Anna" di Silvia Ricci Lempen edito da Vita Activa
si presenta oggi alla Libreria Minerva di Trieste
Cinque donne in lotta
per trovare la felicità
attraverso tempo e storia
La recensione Giulia Basso
È un romanzo fiume, che narra il destino di cinque donne seguendole in diversi momenti della loro vita da un luogo all'altro, da Roma a Glasgow, da Losanna al Marais Poitevin, a Ginevra, e in un arco temporale di un secolo. S'intitola "I sogni di Anna" e la sua autrice, Silvia Ricci Lempen, romana di nascita e losannese d'adozione, che si definisce "bilingue al punto da non sapere qual è la sua lingua madre", ha scelto di scriverlo in due versioni originali, una francese e una italiana, portate avanti in parallelo e in cui nessuna è traduzione dell'altra. Sono «due versioni diverse quanto necessario per corrispondere ai rispettivi universi linguistici e culturali», spiega l'autrice, che per questo peculiare progetto bilingue è stata premiata nel 2015 con una borsa letteraria di Pro Helvetia. La versione italiana, recentemente pubblicata da Vita Activa (pagg.368, euro 17) con illustrazioni di Daria Tommasi, sarà presentata oggi alle 18.30 alla Libreria Minerva. Dialogheranno con l'autrice Fulvio Senardi e Gabriella Musetti, con letture a cura di Luisa Cividin e Giuliana Pregellio."I sogni di Anna" non è un'opera di agile lettura. Non segue un ordine cronologico, tenta piuttosto di riprodurre il funzionamento della memoria nella vita reale, con balzi da un periodo all'altro. E anche il legame tra le cinque donne narrate, eroine forti ma ferite, è una trasmissione incerta, come la memoria. La struttura del romanzo s'ispira al film The Hours, di Stephen Daldry: questa storia dolente di tre donne, legate da una lettura comune, ha colpito fortemente l'autrice. "C'è stata un'epoca della mia vita in cui il dolore mi aveva ridotta a una bestiola con le ossa rotte", scrive nella postfazione del libro, annotando che per quanto le storie raccolte in "I sogni di Anna" siano inventate, in qualche modo le appartengono: "Sono come una diffrazione infinita di me stessa, fatte della stessa pasta di emozioni, anche se spostate, disgregate o rovesciate, come nei sogni". L'affresco sulla femminilità offerto dal libro, che racconta di donne di diversa età e nazionalità, parte da Federica, ventiquattrenne stanca di arrabattarsi nella capitale per poche centinaia di euro al mese che decide di partire per Glasgow per costruirsi una nuova vita. Federica scrive a Sabine, chiedendole se le capita ancora di pensare a Moritz, adultero infelice, una storia di più di vent'anni prima, quando Sabine, giovane teologa protestante, a Losanna voleva cambiare le parole dei canti di chiesa, per farla finita con quel Dio testardamente maschio. Sabine conduce a Gabrielle, la moglie del suo amante, che le racconta della sua adolescenza negli anni'60, in un angolo della provincia francese, e del suo amore per un'altra donna, Lucille, impensabile all'epoca. Gabrielle incontrerà Clara, con un'altra vicenda da raccontare, e Clara condurrà ad Anna e alla sua favolosa vita notturna, incredibilmente ricca di sogni. In questa staffetta al femminile le storie si dipanano in luoghi e periodi storici diversi: il libro, la cui scrittura è durata più di cinque anni, è frutto di meticolose ricerche per restituirli al meglio. Le protagoniste, quasi passandosi il testimone, ingaggiano una serrata lotta per la felicità, con una volontà ostinata di andare avanti, di progredire. C'è un'immagine che nel libro attraversa i secoli e l'inconscio, richiamando il meccanismo del film di Daldry: un dipinto di Aloïse Corbaz, visto da Sabine e Gabrielle al Musée de l'Art Brut di Losanna. Occhi turchesi a mandorla, capelli arancioni riccioluti e il petto pieno di pietre preziose, l'imperatrice bizantina ritratta da Aloïse simboleggia la libertà al di fuori delle norme, il mondo dell'immaginazione che si sostituisce e viene preferito al mondo reale. Come i sogni di Anna, che danno il titolo al romanzo. --